Con oltre 120mila ettari andati a fuoco fino ad ora che sono praticamente il triplo rispetto alla media dei 10 anni precedenti e più di 2 miliardi di danni provocati alle coltivazioni e agli allevamenti dalla siccità ma anche crisi idriche nelle città senza precedenti faranno ricordare l’estate 2017 come quella dei record negativi per gli effetti dei cambiamenti climatici. E’ quanto afferma la Coldiretti nel sottolineare che si tratta degli effetti di un agosto con temperature massime che sono risultate superiori di 3,9 gradi la media mentre le precipitazioni sono in calo del 62,3% nella prima decade, mentre la temperatura massima è stata superiore alla media di 1,2 gradi a luglio e di 3,1 gradi a giugno durante i quali le precipitazioni sono state inferiori rispettivamente del 41,6% a del 31,5% secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Ucea.
Ci vorranno almeno 15 anni per ricostruire i boschi andati a fuoco con danni all’ambiente, all’economia, al lavoro e al turismo ed un costo per la collettività stimabile in circa diecimila euro all’ettaro percorso dalle fiamme. Nelle foreste andate a fuoco – sostiene la Coldiretti - oltre alla drammatica perdita di vite umane sono pesanti gli effetti dal punto di vista ambientale dovuti alla perdita di biodiversità (distrutte piante e uccisi animali) ma saranno impedite anche tutte le attività umane tradizionali del bosco come la raccolta della legna, dei tartufi e dei piccoli frutti, ma anche quelle di natura hobbistica come i funghi che coinvolgono a settembre decine di migliaia di appassionati. Un disastro senza precedenti per il mix esplosivo siccità ed incuria che ha favorito l’attività dei piromani.
Ma gli effetti dall’andamento climatico anomalo del 2017 si estendono dal campo alla tavola con il contenimento produttivo di tutti prodotti base della dieta mediterranea con il raccolto di pomodoro per passate, polpe, concentrati e sughi da conserve che – sottolinea la Coldiretti - è stimato in calo del 12% rispetto allo scorso anno mentre per il grano duro da pasta si prevede una contrazione media attorno al 10%, il raccolto di mele tagliato del 23% con punte del 60% in Trentino, la vendemmia è ridotta del 25% e la campagna di raccolta delle olive 2017/18 si prospetta una delle peggiori degli ultimi decenni forse addirittura inferiore all’annata pessima in termini quantitativi dello scorso anno con 182 mila tonnellate. Ma a subire gli effetti sono anche gli animali perché la siccità – continua la Coldiretti – ha tagliato il foraggio per l’alimentazione del bestiame con prati e pascoli secchi mentre il caldo stressa le mucche che producono fino al 20% di latte in meno mentre le api hanno sofferto le diffuse gelate primaverili a cui ha fatto seguito il caldo e la siccità con i fiori secchi per la mancanza di acqua ed i violenti temporali estivi con la produzione di miele che è più che dimezzata rispetto alla media, per un totale quest’anno attorno alle 10mila tonnellate, uno dei risultati peggiori della storia dell’apicoltura moderna da almeno 35 anni.
Di fronte allo stravolgimento del clima è necessario passare dalla gestione dell’emergenza con enorme spreco di risorse, per abbracciare una nuova cultura delle prevenzione in un Paese che resta piovoso con circa 300 miliardi di metri cubi d'acqua che cadono annualmente cadono, ma che per le carenze infrastrutturali se ne trattiene solo l'11% secondo la Coldiretti.
“Di fronte alla tropicalizzazione del clima – spiega Gennarino Masiello, vicepresidente nazionale e presidente regionale Coldiretti – serve organizzarsi per raccogliere l’acqua nei periodi più piovosi e per poi distribuirla in quelli più siccitosi. La Regione Campania ha già deliberato la richiesta di stato di calamità, ma occorre guardare subito al futuro. Occorrono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque con le opere infrastrutturali, potenziando la rete di invasi sui territori, creando bacini aziendali e utilizzando anche le ex cave e le casse di espansione dei fiumi per raccogliere l’acqua piovana. In Campania esistono quattro invasi principali e altri minori. C’è l’invaso di Campolattaro sul torrente Tammaro, affluente del Calore, in provincia di Benevento, che ha una capacità utile di oltre 100 milioni di metri cubi, ma non ha derivazioni per l’utilizzo dell’acqua. C’è poi l’invaso San Pietro sul torrente Osento, affluente in sinistra dell’Ofanto, in provincia di Avellino, della capacità utile di circa 14 milioni di metri cubi, gestito dal Consorzio della Capitanata con sede a Foggia e utilizzato per l’irrigazione di terreni pugliesi. Ancora l’invaso di Conza sul fiume Ofanto, in provincia di Avellino, con una capacità utile di oltre 60 milioni di metri cubi, le cui acque sono destinate all’acquedotto dell’Ofanto. Poi l’invaso di Piano della Rocca sul fiume Alento con capacità utile di circa 30 milioni di metri cubi destinato ad usi plurimi nel comprensorio del Consorzio di Bonifica Velia. Infine ci sono poi altri invasi minori, ma situati ad altitudini tali da poter servire piccole porzioni di territorio”.