In base ad uno studio condotto a partire dal Women’s Health Initiative observational study-che ha coinvolto più di 60.000 donne, vi sarebbero evidenze preoccupanti circa bibite “diet” e problemi cardiaci.
Lo studio è stato poi pubblicato dall’Huffington Post, e ripreso da “Science”, sottolinea come le bibite dietetiche, sebbene possano aiutare le calorie ingerite in più ampie strategie di controllo del peso corporeo, presentano diversi rischi.
In particolare per il cuore, le donne in post-menopausa che bevono due o più bevande al giorno sviluppano un 30% di rischio in più di un attacco cardiaco o altri problemi cardiovascolari.
Si pensa che tali problemi possano essere dovuti ai dolcificanti artificiali-che pure in passato sono stati associati a aumento di peso e danni cardiovascolari.
In base a quanto riportato da Science, anche bibite con contenuto di frutta basso (non succhi di frutta quindi) ma aromatizzate o vendute con nomi di fantasia, rappresentano una fonte di rischio.
Questo confermerebbe la bontà di strategie che o tassino tali bevande, o cerchino, come su iniziativa di Coldiretti- di aumentare la presenza di frutta nelle bevande.
Lo stato delle cose
Coldiretti da tempo chiede che le bevande con nomi di frutta nella denominazione di vendita possano elevare il contenuto di frutta dal 12% (soglia obbligatoria) al 20%, considerata una soglia “minima” per rispettare la denominazione di vendita e non trarre in inganno i consumatori. In tal senso, Coldiretti aveva cercato di riaprire l’annosa questione, tramite il “Decreto Balduzzi”, modificando il Il DPR 719/58 (bibite che contengono nome di frutta nella denominazione di vendita, come aranciata, limonata, cedrata, chinotto…). Ma una nota del 3 luglio 2013, da parte del Ministero della Salute, aveva definito la inapplicabilità dell'art. 8, comma 16 e 16 bis del D. L. 158/2012 (decreto Balduzzi).
Un emendamento del PD aveva nei mesi scorsi provato a riaprire la partita. Ma la Commissione politiche europee alla Camera ha bocciato qualche giorno fa l’emendamento.
La motivazione è tutta giuridica e per così dire, burocratica, come sembra ad una prima lettura (ovvero , mancata notifica di una norma non armonizzata a livello UE- quella sulle denominazioni di vendita delle bibite con frutta?). Non proprio. La Commissione Europea infatti aveva ricevuto la notifica ( in data 1 ottobre 2012) ma aveva sottolineato la impossibilità di procedere mancando un quadro giuridico armonizzato a livello europeo, e considerando le norme di settore solo italiane, a contrasto della normativa UE e a pregiudizio della concorrenza interna.
Spunti. Mercato contro Salute?
Se certamente la armonizzazione del mercato interno è un aspetto centrale, e recepito nel Trattato sul Funzionamento così come la armonizzazione del mercato interno UE, valgono alcune considerazioni.
In Danimarca, provvedimenti su bibite per tassare lo zucchero (sebbene poi rientrati per l’opposizione delle lobby agroalimentari) erano passati. Questo sia per un aspetto di tassazione (non armonizzata) a livello UE (problema davvero europeo), sia per una più ampia priorità della tutela della salute pubblica rispetto a interessi meramente commerciali. E con una forte percezione che la salute pubblica non potesse essere piegata all’interesse del mercato
Ora, beninteso, se sulla tassazione ancora si può agire- come ricorda proprio in questi giorni l’iniziativa del Senato francese, è la salute pubblica il vero tema emergente. Con diverse linee di azione anche a livello della Commissione Europea, inclusa una strategia per la salute al 2020.
Sarebbe il caso allora di ripensare in profondità il tema. Insomma, perché ci si dovrebbe scandalizzare se una "aranciata" presenta una quantità maggiore rispetto all'attuale "misero" 12% di succo di frutta?
Il tema delle bevande zuccherate è un tema che sta sfidando la salute pubblica a livello globale. Rimanere insensibili a tale aspetto, nel nome di presunte armonizzazioni tecniche (peraltro di difficile comprensione da parte dei cittadini) rischia di essere un altro mattone nel muro di un Europa sempre più divisa e opaca nelle sue norme di funzionamento.